Una delle iniziative di maggior successo, che ha trovato larga diffusione a partire dal 2010 è indubbiamente quella delle Case a un euro, ossia abitazioni oramai diroccate ma con un valore storico, dismesse dai precedenti proprietari e “acquisite” dal comune di appartenenza che vengono vendute ad un prezzo simbolico per essere ristrutturate ed acquistate regolarmente, per poi trovare utilizzo effettivo.
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Questa proposta avvantaggia sia l’amministrazione locale, che può contare su un ritorno mediatico ed economico, visto che l’acquirente si impegna legalmente per la ristrutturazione e la regolarizzazione, ma contrasta anche il diffuso fenomeno dello spopolamento, chiamato più correttamente deurbanizzazione.
E’ stato il piccolo comune di Salemi, in Sicilia, il primo a “ideare” questa forma di iniziativa, a partireda 2010: l’amministrazione locale ha deciso in quell’anno di offrire svariate abitazioni oramai inutilizzabili al costo di un euro, almeno simbolicamente. Grazie ad una sempre maggiore attenzione da parte dei media, questa idea è stata presa come esempio da altri piccoli comuni, perlopiù borghi di poche centinaia di abitanti con qualche eccezione, come nel caso della città di Taranto, che ha aderito a questa forma di iniziativa.
Case ad un euro, scoperta la fregatura: ecco cosa può accadere
Trattandosi comunque di abitazioni, è evidente che bisogna fare bene i conti con alcune condizioni che ogni comune ha sviluppato: il tutto è gestito da bandi temporanei che prevedono l’attuazione di una fideiussione bancaria per “farsi carico” delle spese burocratiche e ristrutturazione, solitamente pari a 5000 euro.
In alcuni casi si è formalmente legati per alcuni anni, ossia in tempo necessario per portare a termine i lavori, e non è possibile rivendere l’abitazione entro un tempo prestabilito. Inoltre c’è da tenere in considerazioone il fattore “isolamento”.
L’iniziativa resta molto interessante e in molti casi anche economicamente vantaggiosa, ma come si può intuire, non è tutto oro quello che luccica.